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In un futuro non troppo lontano il produttore di videogames Ken Castle ha ottenuto un grande successo con "Society"”. Si tratta di un gioco in cui si può ordinare a distanza a un essere umano, dietro compenso, di vivere una vita che obbedisce agli ordini del soggetto pagante. Non contento Castle ha realizzato "Slayer", game in cui chi può permetterselo paga per controllare dei condannati a morte che accettano missioni pericolosissime con la speranza di giungere alla fine del gioco vivi ed ottenere in premio la liberazione. L'eroe della prima edizione che appassiona miliardi di persone è Kable, un detenuto per omicidio il cui sogno è quello di potersi ricongiungere a moglie figlia. Kable è controllato da un diciassettenne abilissimo. Ma riuscirà ad arrivare vivo al termine dei 50 combattimenti previsti?
Neveldine e Taylor colpiscono ancora e pretendono di farlo affondando i colpi sotto la cintura sperando che l'arbitro non se ne accorga. Ci propongono così un Michael C. Hall che fa di tutto (riuscendoci) per farci dimenticare il suo ruolo in Dexter nei panni del perfido Castle. Il quale però somiglia pericolosamente (che a loro piaccia o meno) proprio ai due registi. I quali realizzano un film subdolamente ambiguo. Mentre infatti si pretende di mettere in guardia lo spettatore dalla degenerazione di cui i media sono pervasi se ne esaltano le potenzialità proprio con lo stile di ripresa e con i ritmi di montaggio.
Gli interpreti sono abili a mimetizzarsi, a partire da Gerard Butler, ma resta la spiacevole sensazione di assistere a una truffa ideologica che punta proprio sugli spettatori più giovani e meno attrezzati culturalmente. La virtualità che finge di denunciare se stessa in realtà vuole solo produrre assuefazione.

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