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I primi trent'anni (un po' meno: 10 909 giorni) nella vita incolore di Truman Burbank (Carrey) sono stati lisci come l'olio nella tranquilla e agiata comunità suburbana di Seahaven. Un giorno, però (con ritardo rispetto agli spettatori), scopre che questo quadro idilliaco è una gigantesca messinscena, una soap opera allestita in uno studio televisivo grande come un'intera regione di cui è l'unica persona vera filmata da telecamere invisibili. Tutti gli altri sono attori, guidati dal produttore-demiurgo Christof (Harris). La sceneggiatura magistrale del giovane neozelandese Andrew Niccol (Gattaca) abbina gli ingredienti di Capra e Sturges con le invenzioni più angosciose di Orwell, Sheckley, Dick, secondata dalla regia invisibile di Weir che fa “convivere l'originalità delle idee e l'obbligo di tradurle in un linguaggio accessibile a tutti” (P. Cherchi Usai). L'incubo più ironico del cinema di fine secolo è un'altra espressione della Grande Paura Paranoica degli USA: è la realizzazione del Panopticon, il dispositivo carcerario ideato dal filosofo inglese Jeremy Bentham alla fine del Settecento: chi vi soggiorna può essere osservato, ma non può osservare. Paradossalmente si potrebbero indicare due punti deboli: Carrey e Weir. Il primo s'impegna a fondo, ma non riesce a sostenere la complessa natura tragicomica del personaggio e del film. Cineasta eclettico senza una precisa identità di autore, sagace nella rappresentazione dell'incertezza, “è un buon regista di racconto, non di metaracconto” (F. La Polla). Definito il più costoso (80 milioni di dollari) e popolare film d'autore mai realizzato a Hollywood. 3 nomination, nemmeno un Oscar. Il tema fu anticipato da Paul Bartel con Secret Cinema (1968), mediometraggio in BN, storia di una ragazza che scopre come la sua vita quotidiana venga filmata per sadico divertimento dai suoi amici.
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